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Oltre ad occuparmi di rifiuti per mestiere, mi intrigano la mobilità ciclabile e quella elettrica. E di conseguenza il viaggiare, da cui sto diventando sempre più dipendente

W l’auto elettrica, dagli all’auto elettrica!

Frequentando il mondo della mobilità elettrica in prima persona da quasi sette anni, e in maniera esclusiva da più di tre, devo constatare come questo argomento susciti un enorme interesse, ma anche dei sentimenti estremi, cosa che non mi sembra trovare uguali in altri settori. Provo a farne una breve analisi in questo post, cercando di farlo in maniera più equilibrata possibile.

Ma tu cosa ne pensi dell’auto elettrica?
Innanzitutto mi capita ormai molto raramente che, nei contesti più disparati e parlando di tutt’altri argomenti, non salti fuori dal cilindro la domanda sulla mobilità elettrica. Escludo che in tutte queste situazioni si tratti di persone che conoscono questa mia “seconda vita” (mi occupo prioritariamente di rifiuti, ndr), e dunque che mi vogliano punzecchiare sull’argomento. Penso invece che, poiché si sta parlando in generale del tema della sostenibilità, questa venga dai più (giustamente) associata anche al tema della mobilità.

I talebani, in un senso e nell’altro
La mobilità elettrica è senza dubbio una tecnologia che ben si può descrivere con l’anglofila espressione di “game changer” in quanto, se ben utilizzata, consente di conseguire una serie di importanti benefici rispetto all’alternativa fossile. Benefici che vanno dalla grande efficienza di utilizzo dell’energia, alla possibilità di alimentazione con energia rinnovabile, al potenziale ruolo di supporto/integrazione con la rete elettrica, in definitiva alla possibilità di passare da un sistema sostanzialmente usa e getta (estrazione-combustione-emissione) ad uno molto più circolare (estrazione-riutilizzo-riciclo).
A fronte di questo, numerose persone vedono questa soluzione con adorazione, che si può declinare nelle due varianti: un genuino afflato ambientalista da “salvatori del mondo”, oppure un trasporto squisitamente tecnologico verso qualcosa che, oggettivamente, si presenta molto più prestazionale e innovativo (ed è naturalmente Tesla, su questo aspetto, a fare la parte del leone).
Un’altra parte del mondo ambientalista la giudica invece in maniera fortemente critica, per non dire del tutto negativa, arrivando addirittura a ritenerla peggiore rispetto alla mobilità convenzionale basata sul petrolio, e regalando in questo modo un ottimo assist a tutti i detrattori convenzionali. È soprattutto il caso del mondo ciclistico più integralista, con il quale ho cercato più volte di intavolare un ragionamento costruttivo, ma che, con mio grande rammarico, continua a mantenere sullo stesso piano il tema dell’occupazione di spazio e quello delle emissioni di inquinanti atmosferici. Inquinanti che danneggiano in primo luogo proprio gli stessi ciclisti. Io che sono un ciclista urbano non posso che compiacermi quando avvisto un veicolo elettrico sulla mia strada…

La disponibilità a cambiare le proprie abitudini o i propri comportamenti
È formidabile osservare come le persone che mitizzano l’auto elettrica riescano a tradurre in termini positivi gli inevitabili disagi (o forse meglio chiamarle le limitazioni) di questi veicoli rispetto ai termici. Questo genere di persone affermerà ad esempio che in realtà si perde ancora meno tempo per la “ricarica” rispetto a un veicolo convenzionale, visto che tutte le mattine l’auto è piena e pronta per l’utilizzo giornaliero. Oppure ancora diranno che non esiste alcuna perdita di tempo per la ricarica rapida, visto che si tratta di tempo utilizzato per sfamarsi oppure per gestire impegni di lavoro (mail, telefonate).
Ed è altrettanto incredibile osservare come, viceversa, per altre persone queste apparenti limitazioni vengano ancora oggi percepite come insormontabili, e dunque “L’auto elettrica sarà sicuramente il futuro, ma mancano ancora 10-20 anni”.

E allora, che fare?
Per concludere, possiamo azzardarci a dire che l’auto elettrica è come la plastica: un materiale straordinario, con innumerevoli vantaggi, che però possono essere vanificati se viene utilizzato male. Come ho avuto modo di ribadire in tutti i miei interventi pubblici sull’argomento, l’auto elettrica è un elemento imprescindibile della mobilità sostenibile e della transizione energetica. Ma resta altrettanto imprescindibile la necessità di partire innanzitutto da una forte diminuzione dell’uso dell’auto privata, soprattutto nei contesti urbani. È tuttavia impensabile che si possa mai arrivare ad abolire questo strumento così pervasivo. Chi lo sostiene, se non è in mala fede, è evidentemente fuori dal mondo e non ritiene di dover contribuire in maniera costruttiva ad affrontare il problema. La mobilità privata “residuale” non potrà che essere elettrica. Non domani, oggi! Non fosse altro che perché dobbiamo entrare nell’ottica di lasciare sottoterra i combustibili fossili nel più breve tempo possibile, il tempo sta scadendo. Ma è quantomeno auspicabile che l’utente che passa da un’auto convenzionale ad una elettrica lo faccia perché animato dal giusto afflato “ambientalista”, e dunque sia disposto a cambiare le proprie abitudini, a partire dal proprio modo di guidare. Anche perché un cambiamento di questo genere è sicuramente il più semplice tra tutti quelli che dovremo, volenti o nolenti, affrontare.

L’ultima auto a benzina!

“Per chi ha già una EV o per chi avesse dei dubbi nel passaggio alla mobilità elettrica, questo è un libro assolutamente da leggere…”

“Libro molto ben scritto, spiegazioni semplici e chiare, adatto a chi si interessa di mobilità sostenibile e vuole saperne di più.”

“utile per conoscere la problematica e disfarsi delle numerosissime fake-news e luoghi comuni nel campo!”

Ed eccolo qua, finalmente!

Nonostante il titolo evocativo, il libro non tocca unicamente il tema della mobilità elettrica, ma indugia anche su quella ciclabile e sull’intermodalità, con incursioni sugli impatti ambientali dei trasporti e sul tema energetico.

In un momento storico così incentrato sul dibattito anti-diesel, non è peraltro casuale la scelta del più generico termine “benzina”, visto che sono proprio tutti i combustibili fossili a dover essere pensionati, come già argomentato.

Qua si può dare un’occhiata all’indice del libro. Invece qua è disponibile il video di una breve intervista presso il Festival della Scienza di Genova.

E a proposito di “cambiamento”…

Basta una presa!

Immaginate di soggiornare presso un appartamento di vacanza al mare e che il vostro ospite vi dia la possibilità di fare il pieno di benzina o gasolio all’auto mentre è parcheggiata. Impossibile, a meno che sia un dipendente di una raffineria che si porta a casa tutte le sere una tanica di carburante trafugato…

Tesla SC e DC ad Agosto 2018

Con un’auto elettrica invece la situazione è molto differente. Innanzitutto prima di partire per una nuova destinazione è opportuno verificare la disponibilità di punti di ricarica. Sono numerosi i siti e le app che consentono di farlo, ma naturalmente quando si tratta di postazioni di ricarica pubblica si affronta sempre qualche rischio, come il malfunzionamento o l’occupazione abusiva. Chi si muove con veicoli Tesla ha invece la vita molto più facilitata. Basta verificare di trovarsi a non più di un centinaio di km dal più vicino Supercharger, e già questo è sufficiente per starsene tranquilli. Inoltre esistono i Destination Charger, ancora più capillari, da sfruttare in caso di emergenza.

Dunque nel mio caso specifico non mi sono preoccupato di cercare una sistemazione dotata di ricarica, né di chiederlo preventivamente all’ospite. Ma talvolta succedono cose inaspettate, e nella nostra chiacchierata di benvenuto è venuto fuori il discorso dell’auto elettrica e lui si è subito illuminato, dicendo che già oggi ha una presa Schuko vicino al posto auto e avrebbe l’idea di installare una colonnina in vista della prossima stagione turistica. Mi ha dunque invitato a collegare l’auto, per fare qualche verifica sul tipo di presa, sugli assorbimenti e sui consumi.

Ecco, questa storia insegna che l’utilizzo del vettore elettrico in luogo di quello fossile (liquido o gassoso che sia) apre la strada a tantissime opportunità di ricarica, che possono ampiamente compensare le fisiologica scarsità delle colonnine pubbliche (se confrontare con il numero di distributori di carburanti).

Appunto, basta una presa!

PS: è importante ricordare che l’utilizzo di una presa comune per ricaricare un’auto elettrica può comportare dei rischi, se fatto senza cautele. Nello specifico, i veicoli più avanzati consentono di regolare la potenza assorbita, abbassandola anche fino a soli 5-6 Ampere (che corrispondono a poco più di 1 kW). In alternativa esistono cavi di ricarica che fanno la stessa cosa. In queste condizioni non vi è alcun rischio per l’impianto, e si può anche lasciare in carica tutta la notte, ritrovandosi un discreto riempimento della batteria al mattino

Al capolinea

Stupisce constatare la leggerezza e disinvoltura di chi ancora oggi, nel 2018, si accinge ad acquistare un nuovo veicolo alimentato a combustibili fossili. Non fosse altro che per lo spauracchio di probabili limitazioni sempre più stringenti al loro utilizzo negli anni a venire (non solo all’estero, ma anche a Milano, come dichiarato dal Sindaco Sala).

La tecnologia fossile è ormai giunta al capolinea, come i vari scandali sulle emissioni hanno ampiamente dimostrato, e come argomenterò nel dettaglio nel mio prossimo libro di imminente pubblicazione.

Ma è interessante osservare le strategie di chi da questa situazione ha solo da perdere, ovvero buona parte dei costruttori tradizionali di veicoli, ma anche (e soprattutto) tutta la filiera che ci sta a monte.

Dalli al diesel! Si sarà notato come si tenda a mettere nel mirino unicamente questo tipo di alimentazione, come se da un veicolo a benzina uscissero rose e fiori. Le differenze tra le emissioni dalle diverse tipologie di alimentazione sono tutto sommato modeste, ed inoltre per alcuni inquinanti il diesel emette effettivamente di più, per altri emette di più il benzina. Mettere alla berlina il diesel significa quindi spostare gli acquisti verso la benzina, e dunque continuare a non dare fastidio (o a darne poco) alla filiera petrolifera.

Chi invece cerca di prendere di punta la questione fa osservare (giustamente) come lo spostamento dal diesel al benzina abbia effetti deleteri per quanto riguarda le emissioni di gas serra. Sappiamo infatti che il motore diesel è più efficiente, dunque consuma meno e di conseguenza emette meno CO2.

Fattori di emissione medi da traffico in Lombardia nel 2014 per autoveicoli in aree urbane (Fonte: INEMAR ARPA LOMBARDIA)

Questo conferma ancora una volta come non si tratti di una questione di messa al bando del diesel, ma dei combustibili fossili in generale. Ah, anche il metano è un combustibile fossile, con buona pace di chi pensa di mettersi la coscienza a posto in questo modo…

Nuoce gravemente alla salute!

Le rocambolesche rivelazioni degli ultimi giorni circa l’ennesimo scandalo che coinvolge case automobilistiche tradizionali mostrano una inquietante somiglianza con l’epopea dell’industria del tabacco.

Si fa effettivamente una certa fatica a credere che davvero si volesse verificare l’effetto cronico degli inquinanti supposti cancerogeni con esperimenti di esposizione di breve durata. Ma soprattutto ci si chiede a che pro scomodare dei poveri macachi, che avrebbero preferito rimanere nelle loro pozze calde nelle Alpi giapponesi, quando l’effetto dell’esposizione continua ai gas di scarico dei veicoli può essere verificato su tutti gli abitanti di qualsiasi centro urbano.

Fatto sta che le case automobilistiche convenzionali stanno evidentemente realizzando di essere con le spalle al muro sul tema ambientale, e quindi iniziano a ricorrere alle strategie appunto già viste in questi casi: la pressione lobbistica sulla politica (spalleggiati da frau Merkel), il tentativo di negare o minimizzare il problema (la vicenda macachi), fino alla truffa (il dieselgate).

Visto che ormai il Re è nudo, è probabilmente giunto il momento di arrendersi e imporre ai veicoli fossili scritte analoghe a quelle dei pacchetti di sigarette, visto che anche qua si pone un pesante problema di esposizione al fumo passivo.

The Earth as a habitat being poisoned by pollution (symbolised by car exhaust fumes)

In questo quadro desolante e disgustoso si intravvede una luce in fondo al tunnel, ancora piccolina ma in grande sviluppo. E tutte queste misere vicende non fanno che aumentare il divario già immenso tra la creatura di Elon Musk e i dinosauri fossili. Come già anticipavo qua.

A volte ritornano

Da viaggiatore cerco di applicare la regola generale di non ritornare in luoghi già visitati, ma ci sono delle eccezioni. Kyoto in particolare è una città magnetica, dove torneresti un sacco di volte per mille motivi. Professionali, per vedere quanto continuano a migliorare sul tema della gestione dei rifiuti (ne parlo qua), sociali, per farsi crogiolare dalla proverbiale ospitalità dei Giapponesi, culturali, per continuare l’esplorazione dei mille templi e santuari che non finiscono mai. Ma anche per ritrovare alcune certezze, come quel buffet all-you-can-eat a chilometro zero, che tante soddisfazioni ci diede nell’estate del 2014.

E in ogni caso di motivi per ritornare in Giappone ne avevamo già parlato a suo tempo: Tokyo e il Monte Fuji. L’esplorazione di Tokyo effettivamente procede, poco alla volta. Invece per il Fuji, diciamo che ci stiamo ancora lavorando…

I motivi di una scelta

Scrivo questo post soprattutto come promemoria, per ricostruire e ricordare i passaggi e i ragionamenti che mi hanno portato fino a dove mi trovo oggi. La conclusione, che anticipo, è che ritengo di essere parte di una generazione di passaggio, che così come ha beneficiato al massimo del benessere associato all’ampia disponibilità di energia a basso costo, ha il dovere etico di capitalizzare questo vantaggio e investire al massimo verso il cambiamento. Verso la transizione completa alle fonti di energia rinnovabili.

Correva l’anno 2008, credo, nel pieno di un’ondata di calore estiva, e rientrando a casa dal lavoro (ai tempi in moto) iniziai a ragionare sul perchè non si riuscisse a sfruttare in qualche modo tutta quell’enorme quantità di energia disponibile gratuitamente. E soprattutto sull’assurdità di bruciare petrolio per muoversi, a maggior ragione durante quelle condizioni meteorologiche (girare in moto nel pieno di un’ondata di caldo è molto disagevole, decisamente peggio che farlo sotto la pioggia). Considerazioni quindi legate alle emissioni di inquinanti atmosferici e all’inefficienza di utilizzo dell’energia.

Il primo atto è stato quello di installare un impiantino fotovoltaico, ai tempi ancora molto caro, individuando quindi una formula che consentisse un esborso contenuto. E contemporaneamente iniziare a muoversi sistematicamente in bicicletta per Milano, con l’acquisto della bicicletta pieghevole. Entrambi questi investimenti risalgono dunque all’autunno 2009. Inizia parallelamente l’interesse per le automobili elettriche, da poter ricaricare prevalentemente con l’eccesso di energia fotovoltaica, ma a quei tempi il quadro era ancora desolante. Modelli annunciati, poi posticipati, prezzi fuori mercato (ricordo ad esempio la lunga attesa per la Zoe, che a ripensarci adesso non sarebbe nulla di nuovo…)

Nello stesso anno, 2009, avveniva l’acquisto di una nuova vettura, che a questo punto sarà l’ultima a combustibile fossile, con la ripromessa che almeno la seconda auto di famiglia avrebbe dovuto essere realmente innovativa, non più fossile.

La svolta arriva nel giugno 2013, con la prima Leaf acquistata come una scommessa, ma che diventerà ben presto la prima auto di famiglia in quanto a chilometri percorsi. Alla fine dello stesso anno arriva l’ampliamento del fotovoltaico, visto che 2 kW sono un po’ pochi per ricaricare l’auto. A costi molto più bassi rispetto a soli 4 anni prima, e con una bella detrazione fiscale di cui beneficio ancora oggi.

E siamo al 2016, con la maturità per affrontare l’ultimo salto, la liberazione completa dal motore termico. La nuova Leaf da 30 kWh lo consente, o meglio lo consentirebbe in un Paese con un minimo di infrastruttura di ricarica rapida, cosa che ahimè in Italia stiamo però ancora aspettando. Dunque per fare davvero sul serio esiste una sola possibilità. Questa volta il passo è veramente azzardato, e si compie esattamente il 30 Dicembre 2016. Ma dopo 20.000 km percorsi in sei mesi con il massimo delle soddisfazioni, sono convinto che anche questa è stata una scelta che nel medio-lungo termine pagherà. E che spero, nel mio piccolissimo, rappresenti un ulteriore contributo verso un mondo migliore.

Cieli azzurri, churrasco e… bicicletta

Brasilia è uno di quei posti dove probabilmente non ci andresti mai di proposito, ma nei quali ti ci imbatti per un impegno di lavoro. Sarebbe meglio non arrivarci proprio nella giornata di disordini associati al caos politico del paese, ma in ogni caso la calma e tranquillità brasiliane si sono ripristinate molto velocemente.


Città futuristica a forma di aereo, inventata dal nulla negli anni ’50 e inaugurata nel 1960, su un altopiano a 1000 m nel centro del Brasile dove è stato anche creato per l’occasione un grande e bellissimo lago artificiale che la contorna. Architetture esuberanti e bianchissime, grandi spazi, strade enormi e dunque inevitabilmente poco intasate dal traffico, che rimane scorrevole. Ma nessuna attenzione per pedoni e soprattutto ciclisti, in un periodo storico dove la prosperità portata dalla disponibilità di petrolio a buon mercato e dall’automobile per tutti aveva accecato anche urbanisti e pianificatori. Neppure luoghi di aggregazione, ma anzi una logica di suddivisione delle differenti attività in zone ben specifiche, che obbliga a muoversi sempre con l’auto per qualsiasi esigenza.

Ora un timido servizio di bike-sharing e qualche percorso ciclabile permettono anche qua di esplorare questi enormi spazi in bicicletta, respirando un’aria molto più pulita che nelle nostre città, ma facendo attenzione al sole che, anche in inverno, ti abbrustolisce facilmente.

 

E’ in definitiva un luogo dove i brasiliani ricchi se la godono, ma dove comunque si può anche finire in una festicciola tipicamente sudamericana all’interno di una pseudo-favela…