I luoghi sacri

Durante il fine settimana abbiamo potuto iniziare ad assaggiare questa città costellata di templi e santuari, luoghi sacri in cui è custodita la fede degli uomini e i pochi spazi verdi rimasti a Kyoto.

DSC_6671Nel parco del Tempio Rokuon – ji, i grilli friniscono senza sosta, mentre le carpe multicolore si affollano mute vicino alle sponde dei laghi. Le timide tartarughe si affrettano a immergersi nelle acque torbide per celarsi agli sguardi indiscreti dei turisti, e i pini gentili protendono al massimo le numerose braccia per donare sollievo a chi gode della loro ombra. DSC_6677

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20140718_173909Sulla spianata infuocata del Tempio Nishi Honganji, due maestosi ed imponenti alberi di gimko si ergono come guardiani, e le migliaia di ventagli verdi della loro chioma fremono lievi ad ogni sospiro del vento.

Quando si varcano le possenti porte che conducono dentro a uno di questi luoghi sacri si ha la sensazione di entrare in un tempo e in un luogo infinitamente lontano dalla città che tutto attorno lo assedia. Anche in Cina ricordo di aver vissuto emozioni analoghe.

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Degni di una menzione speciale…..

……..sono i water! Sì, proprio loro. Ad iniziare da quello che abbiamo in casa a Kyoto. Sopra alla cassetta dello scarico è presente un piccolo lavandino il cui foro di scarico porta direttamente nella vaschetta. Dopo aver scaricato, l’acqua esce da un tubo arcuato posizionato sopra il lavandino e può esser utilizzata per lavarsi le mani, prima che vada a riempire nuovamente la cassetta. Un piccolo ma interessante esempio di risparmio idrico.DSC_6648

Ma questa è solo la versione base, quella super accessoriata, presente in quasi tutti i luoghi pubblici, è dotata di una sorta di pulsantiera a fianco della tazza con numerosi comandi che permettono di simulare il rumore dello scarico (il motivo non è chiaro, forse per coprire altri tipi di rumore?) o spruzzare l’acqua verso l’alto a getto o a doccia per fare il bidet (ovviamente anche la pressione dello spruzzo può essere selezionata, un pò come lo zucchero nel caffè dei distributori automatici). Più che in un bagno, sembra di essere in una cabina di pilotaggio. Va da sé che non troverò mai il coraggio di schiacciare quei comandi, e quindi tutto quello che accade realmente ce lo dovremo far raccontare, o magari vedere in qualche video su internet.

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Lo scivolo di pasta

20140717_192800Ieri i ragazzi che lavorano con papà ci hanno organizzato una festa in università. E’ stata una grandissima sorpresa quando da lontano ho scorso una piccola tettoia con sotto una tavola piena di cibi e bevande tipici: noodles (gli spaghetti giapponesi e cinesi), the verde, sushi e insalata. Tanti amici ci aspettavano per una festa, una bellissima festa…

Man mano che mi avvicinavo notavo sempre più cose sotto quella piccola tettoia ma solo quando sono arrivato molto vicino ho notato quattro lunghe canne di bambù tagliate a metà, collegate tra di loro e sostenute da tre piedistalli, dentro alle quali scorreva dell’acqua. L’ho osservato bene: sembrava proprio uno scivolo d’acqua in miniatura con in fondo uno scolapasta appoggiato sull’erba. Proprio in quel momento una ragazza ha preso i noodles, si è messa vicino alla canna più alta e ha iniziato con le bacchette a versarli dentro l’acqua. Intanto un altro ragazzo ci ha dato una scodella con del brodo di pesce e ci ha mostrato che dovevamo prendere gli spaghetti con le bacchette prima che finissero nello scolapasta e metterli nel brodo per poi mangiarli. Qua si può vedere un video.

Io ci ho provato e riprovato, ma niente, non riuscivo a prenderli. Perseverando alla fine ci sono riuscito (con una mia tecnica personale).

E’ stata una bellissima festa, proprio come immaginavo!

 

Fiumi di silenzio

Tutto in Giappone è ordinato, silenzioso, puntuale e pulito tanto che persino i chewing gum si rifiutano di appiccicarsi per terra, quegli stessi che da noi si affollano nelle stazioni, sui treni, metropolitane e nelle strade e prendono spesso un passaggio sotto le mie suole delle scarpe per andare da un luogo ad un altro. Ci si aspetterebbe quindi di vedere numerose persone affannate a pulire e riordinare senza sosta ogni angolo della città, ed invece non è così. Sembra di essere in presenza di spiriti del passato (o forse del futuro) che fluttuano senza lasciare traccia alcuna: una carta, una scritta, una impronta, un chewing gum……..un rumore. Sì, anche il silenzio regna sovrano. Durante la festa più importante di tutto il Giappone, Gion Matsuri, fiumi di persone scorrono placidi per le strade in un silenzio surreale, tanto che i deboli trilli dei campanelli dei carri si odono distintamente anche a distanza, preannunciandone l’imminente passaggio. DSC_6534

E così i moderni centri commerciali e i negozi di alta moda fanno un passo indietro accennando un lieve inchino per onorare anch’essi gli uomini e i bambini che, vestiti con drappi e pesanti kimono, trascinano carri alti oltre 20 m.

Sui carri uomini cantano nenie al ritmo di campanelle e tamburi, e sul carro di apertura della sfilata un bambinoDSC_6557 con il volto dipinto di bianco e con il capo e il corpo riccamente adornati, si sporge con tutto il busto a 10 m di altezza, per catturare gli spiriti malvagi e porre fine alla pestilenza che, 1000 anni fa, aveva decimato la popolazione. Da allora questo rituale si compie ogni anno come evento culminante di una festa che si protrae per tutto il mese di luglio. Il caldo è torrido, ma non per loro, che sembrano perfettamente a loro agio dentro ai pesanti vestiti, forse perchè hanno una missione troppo importante per occuparsi di sè stessi. I carri avanzano lentamente oscillando al ritmo cadenzato dei colpi di cuneo che vengono magistralmente infilati sotto le grandi ruote di legno per indirizzare il carro, mentre i decori floreali e di animali esotici sembrano prendere vita ed uscire dalle pareti laterali per unirsi alla folla. DSC_6542

Non appena la parata è terminata, i carri vengono smontati per evitare che gli spiriti imprigionati escano nuovamente.

Le regole muovono abilmente i cavi degli avvenimenti in modo che tutto scorra liscio. DSC_6551 Nelle vie pedonali le persone percorrono la strada tenendo la sinistra e nessuno occupa la corsia sbagliata, a parte noi ovviamente, che veniamo subito gentilmente richiamati all’ordine. Vigili vestiti come giostre con luci rosse e blu, dirigono il traffico pedonale, e scambiano inchini e sommesse parole con coloro che chiedono il permesso di attraversare.

DSC_6547Eppure alzando la testa si rimane attoniti a vedere la selva di cavi elettrici che si rincorrono attorcigliandosi l’un l’altro per arrivare nelle abitazioni. Verrebbe quasi da pensare che così presi ad assicurarsi che tutto sia perfetto in terra, si siano dimenticati di alzare la testa. Ma ovviamente non è cosi: anche il disordine ha il suo ordine. I cavi sospesi permettono di individuare e sistemare più rapidamente un eventuale guasto, e questo aspetto è essenziale in una terra che spesso trema. E così quel disordine rimane sospeso sull’ordine generale come un amaro scherno.

Forse è proprio per non risvegliare l’ira degli spiriti di una terra a volte troppo violenta che gli uomini cercano di passare lievi, con lo sguardo rivolto verso il basso e protesi all’ascolto come in una perenne preghiera.

Nuovamente in Oriente!

Dopo poco più di un anno eccoci riapprodati in estremo oriente! Non più un paese emergente, la Cina, ma uno dei più sviluppati al mondo: il Giappone. Mi risulta inevitabile sin da subito confrontare le due esperienze, forse perchè le uniche fatte in Asia, forse perchè entrambe nascono come una opportunità lavorativa di Mario in ambito universitario. L’aspettativa era tanta ed è cresciuta sempre di più nell’attesa della partenza tra racconti di chi era già stato, articoli e reazioni entusiaste di amici e parenti. Non da ultimo per un ingegnere ambientale Kyoto rappresenta una sorta di “Monte Sinai” dove nel 1997 è stato siglato il protocollo contenente i “comandamenti” da cui discendono, o dovrebbero discendere, le nostre politiche ambientali.

Il Giappone ci offre subito il suo biglietto da visita nel viaggio da Tokyo a Kyoto: i treni, che sembrano esser al loro viaggio inaugurale da tanto sono puliti ed in ordine, hanno una puntualità imbarazzante e sembra quasi che ci aspettino dietro l’ultima curva per esser subito pronti quando arriviamo in banchina. Strana sensazione per chi ha viaggiato in Italia ed è abituto a giocare a “nascondino” con i treni che cercano abilmente di non farsi trovare: in ritardo o soppressi quando si arriva in anticipo, in anticipo quando si è in orario o in lieve ritardo! shinkansen

E poi la casa. In Cina eravamo stati presi da un certo sconforto quando, entrati dalla porta frustra della “army barrack“, ci si era parata davanti una piccola cucina con numerose candelette di grasso solidificato che come liane scendevano dalla cappa. Le più audaci si erano spinte fino agli armadietti, ed erano rimaste aggrappate alle ante, forse colte di sorpresa dal nostro ingresso, mentre erano in attesa che la polvere e le granaglie sparse all’interno dei mobili le facessero entrare. E le altre stanze non volevano certo esser da meno.

La casa giapponese al contrario ha mobili ed oggetti in perfetta livrea che si specchiano su pavimenti quasi bianchi e assolutamente lustri. Tutto era pronto per il nostro arrivo, ed ogni cosa, scrollatasi di dosso anche l’ultimo granello di polvere, ci attendeva con un ossequioso ed orgoglioso inchino, com’è usanza da queste parti.

Però l’imperfetta accoglienza cinese era impagabile: l’edificio in cui abitavamo era situato dentro il campus e spesso bussavano i ragazzi che venivano a chiamarci per andare a pranzo, cena, per portarci te verde, dolci o altri cibi tipici o anche solo per assicurarsi che non avessimo bisogno di nulla. L’invadente e chiassoso entusiasmo cinese ha lasciato spazio alla discreta cortesia giapponese che, sebbene sia più simile all’accoglienza “occidentale”, ti fa sentire maggiormente lontano da casa.

 

Ventisei anni dopo

Anno 1987, Scozia in camper. Un viaggio pionieristico per l’epoca, su su lungo la costa nord occidentale delle Highlands fino alle Orcadi. Ripromettendosi di andare sulle Ebridi esterne nell’occasione successiva. Da lì nacque l’attrazione magnetica per il Nord Europa, Irlanda, Norvegia, Islanda, Svezia.

Ventisei anni dopo eccoci di nuovo qua, alla ricerca del Vallo di Adriano e di nuove atmosfere nordiche.image

Un finale col botto!

Il giorno che precede la partenza è sempre campale, soprattutto dopo una permanenza così lunga e in vista di un viaggetto non proprio all’acqua di rose. E poi ci sono tutte le ultime cose da sistemare, tipo le cartoline, gli ultimissimi acquisti di gadget del Campus, ecc. Ma questa volta ci mancava anche la cosa più importante, quella che non ci facciamo mancare quasi mai nei vari giri: la visita all’ospedale!

E fu così che il povero Andrea venne fulminato da una gastroenterite piuttosto seria, ed eccoci qua, nel reparto flebo dell’ospedale del campus, fortunatamente proprio di fronte a casa. Finito il trattamento alle 18.30, partenza per l’aeroporto di Pudong alle 19!

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Anche in questa occasione i nostri angeli custodi ci hanno assistito senza tregua, aiutandoci ad allentare l’inesorabile tensione. Grazie!

Big noses

Fino ad oggi abbiamo vissuto una quotidianità cinese tra supermercati, mense, banchi della frutta, palestre e biblioteche. Abbiamo deciso sin dall’inizio di dedicare l’ultimo fine settimana che saremmo stati qui a visitare Huangshan, patrimonio dell’Unesco. Le premesse metereologiche non erano delle migliori, infatti in quella zona pioggia, nebbia e vento dominano per la più parte dell’anno, come se la natura volesse celare la sua perla agli sguardi del mare di uomini che quotidianamente si riversano chiassosi per i sentieri del cielo. Per nulla scoraggiati (o forse semplicemente non potendo più rimandare) prenotiamo  decidendo di fissare un pernottamento in un hotel in quota a quattro stelle, perché foschi racconti locali riportavano che le categorie in Cina hanno standard molto differenti dai nostri. Partiamo domenica di buon mattino per andare a prendere il pullman in centro ad Hangzhou per poi scoprire, dopo un’ora di frenate improvvise e curve a gomito, che l’autobus si ferma nei pressi dell’università. Passato il labirinto cittadino imbocchiamo l’autostrada e case fatiscenti iniziano a sfilare ai bordi della strada, intimorite ed oppresse dall’avanzata di nuovi giganteschi mostri che si perdono a vista d’occhio nelle zone di espansione della città, così grigi e tristi che a stento si capisce se debbano essere abbattuti o se sono pronti ad inghiottire migliaia di persone nelle loro viscere.

Dopo numerosi colpi di clacson arriviamo a Tunxi, dove una giovane donna ci attende dietro un grande sorriso e un vistoso paio di occhiali quadrati senza lenti. E’ Adah, la nostra guida. Il tempo è uggioso e una volta saliti sulla funivia ci immergiamo in una coltre di nubi che come un bambino nasconde sotto le braccia i suoi tesori per renderli invisibili agli altri.DSC_3703 Un po’ scoraggiati ci scambiamo sguardi, ma nel giro di un attimo buchiamo la coltre e lo scenario cambia mostrandosi magnificente come solo di rado capita da queste parti. Siamo arrivati nella dimora degli Dei dove le vette granitiche galleggiano sul mare di nuvole, barriera impenetrabile agli occhi degli abissi sottostanti. Il sole splende terso importunando le rocce scolpite sapientemente dalla natura con quei dettagli che può dare solo chi ha l’eternità a disposizione. Pini millenari si aprono nelle fenditure come ombrelli di dame cinesi. Tutto appare eterno.

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Ci incamminiamo per visitare questo luogo accompagnati dal solito continuo mantra shuāngbāotāi (gemelli), le incessanti richieste di fare foto con i bambini e incrociando talvolta i passi curvi ed amari dei portatori barcollanti sotto il peso del bilanciere carico di rifiuti, che gli frutterà un minimo compenso.

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A sera arriviamo all’albergo. Non una topaia come paventato, ma di un lusso quasi imbarazzante e fuori luogo in quel contesto. La guida ci ha spiegato che è un “big noses’ hotel” ovvero riservato ai “grandi nasi”, appellativo per noi occidentali. Esagerato e fuori luogo…….ma ce lo siamo goduto!

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Sempre connessi… purtroppo…

Vista la situazione prima della nostra partenza, ero molto allettato all’idea di staccare la spina per un mese dalle vicende italiche. Poi, complice anche l’ampia disponibilità di connessioni wifi libere (altro elemento di superiorità rispetto a noi), non ho potuto fare a meno di comportarmi da vero italiano all’estero, alla continua ricerca di notizie nostrane. Credo però che sarebbe stato decisamente meglio l’auspicato blackout informativo, per poter ritornare in Italia e scoprire con stupore che… gulp, non è cambiato proprio nulla…