Tiro

Lasciamo Beirut alla volta di Tiro. L’aspettativa è alta: descritta da tutti come affascinante e piacevole meta turistica, Tiro è la culla della civiltà fenicia e dichiarata dall’UNESCO patrimonio dell’umanità. Tiro, Biblo e Sidone tre nomi che mi echeggiano nella testa come una promessa.

Uscire da Beirut non è stato semplice nell’ora di punta. A questo disordine ci si abitua rapidamente però e in breve pare quasi normale, se non sei l’autista ovviamente. Ad un tratto tutto si blocca perché un camion non passava sotto un ponte stradale. Il mezzo si ferma, due uomini salgono a 4-5 m in cima al carico e iniziano a smontarlo per raggiungere l’altezza che permettesse di passare. In qualche modo il fiume in piena di auto adatta la sua traiettoria intorno all’ostacolo e si riprende il moto.

Il paesaggio di periferia è ancora più desolante e povero e i rifiuti sono dovunque. Ancora posti di blocco, militari, filo spinato e si intravedono alcune canne di carri armati parzialmente nascoste dalla vegetazione di un alveo fluviale. La strada ora serpeggia lungo la costa dove i rifiuti vengono gettati in mare perché i comuni non sanno più dove metterli. D’un tratto appare Sidone. Cerco avidamente di scorgere i segni dell’antico splendore, ma nulla,  quello che vedo pare un castello di sabbia preso a calci da un bambino. Rapidamente Sidone passa e io penso: certamente Tiro sarà differente.

Il percorso si snoda in mezzo a distese di bananeti e finalmente raggiungiamo Tiro. Lasciamo i bagagli alla foresteria al decimo piano di un edificio dal quale si scorgono i resti dell’ippodromo romano (ora coperti dai palchi preparati per il festival), le spiagge e in fondo quelli che in Libano chiamano i territori occupati della Palestina, ovvero Israele, un nome che è meglio non pronunciare in pubblico da queste parti.

Alla sera usciamo a fare un giro a Tiro alla spasmodica ricerca della sua identità, quella dei navigatori che fondarono Cartagine. Immediatamente ci troviamo in mezzo al caos delle macchine, dei motorini e delle musiche arabe che escono a tutto volume dai finestrini delle auto di coloro che non vogliono passare inosservati. L’odore di gas di scarico è pungente e a tratti si mescola alla puzza acre dei rifiuti che si decompongono al sole. L’immondizia è un po’ dovunque e i minareti paiono braccia che cercano di elevare il canto della preghiera più in alto, più vicino a Dio, certamente piú lontano dai rifiuti e dal caos.

I palazzi del  lungomare sono belli e moderni ma basta andare poco oltre per trovare case fatiscenti.Sulla spiaggia al tramonto gruppi di donne arabe fumano il narghilè sedute con i loro lunghi abiti adagiati come corolle sulla sabbia e i bambini giocano a rincorrersi con le onde sul bagnasciuga. E finalmente eccola l’antica Tiro. Soffocata alle spalle dalla città impertinente, stava adagiata sulla spiaggia rivolta verso il mare che le aveva dato un tempo ricchezza e prosperità, in un tramonto meravigliosamente immutato da migliaia di anni.

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