Ancora sulla Norvegia

Perché la Norvegia è diventato un caso di studio sulla diffusione dei veicoli elettrici a livello mondiale? I motivi sono numerosi, e tutti insieme concorrono a una risposta univoca: perché non poteva essere altrimenti.

Venti postazioni di ricarica al parcheggio alla base del Preikestolen

Agevolazioni sull’acquisto e sull’utilizzo. Acquistare un’auto elettrica costava meno dell’equivalente termica grazie all’abolizione dell’IVA. Inoltre la possibilità di utilizzare le corsie preferenziali (ora non più), di parcheggiare gratis (ora non più) hanno rappresentato un goloso incentivo a fare il salto.

Modalità di guida. Viaggiare in Norvegia è estremamente rilassante in quanto il rispetto delle regole della strada è maniacale. Avete presente la Svizzera? Ecco, qua ancora di più, se possibile. Il limite extraurbano è di 80 km/h, raramente sale a 90. E naturalmente tutti lo rispettano senza se e senza ma. Condizioni di viaggio così tranquille sono quelle che permettono di massimizzare l’autonomia di qualsiasi veicolo, e di uno elettrico in particolare.

Mix energetico. Il 90% proviene da idroelettrico. Serve aggiungere altro?

Condizioni climatiche. Vero, fa molto più freddo, e i veicoli elettrici perdono autonomia con le basse temperature. Ma è una perdita temporanea, non associata alla degradazione della batteria. Cosa, quest’ultima, che invece beneficia delle estati più fresche.

Cavi di ricarica che sbucano da ogni dove

Ma come la mettiamo con il petrolio norvegese? Ebbene sì, la Norvegia estrae un sacco di petrolio e lo vende in giro per il mondo. Scrivo questo post proprio da Stavanger, la capitale delle estrazioni petrolifere, dove c’è anche il Museo del petrolio. Personalmente non ci vedo uno scandalo, visto che è evidente come il paese stia vivendo una fase di transizione energetica vera. E tutto sommato queste estrazioni stano facendo posto ad una potenziale ampia disponibilità di stoccaggio di CO2, secondo il progetto Northern Lights.

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