Ahia l’inverno

Foto da http://sam-koblenski.blogspot.it/

Niente da fare, purtroppo l’inverno non è molto amico della mobilità elettrica, bisogna riconoscerlo. Non che la scorsa stagione – né quanto visto fino ad ora – siano stati particolarmente rigidi, anzi, ma già verso lo zero si avvertono i primi sintomi di “letargo” dell’auto elettrica. L’autonomia di percorrenza si riduce vistosamente a causa della minore efficienza del processo chimico che avviene all’interno della batteria, e il riscaldamento dell’abitacolo (naturalmente elettrico) si mangia un bel po’ di kW. In più le giornate corte o nebbiose comportano i fari accesi più a lungo, spesso piove e vanno i tergicristalli, magari il lunotto termico e via così. Inoltre l’aria fredda è più densa e quindi oppone maggiore resistenza aerodinamica al moto del veicolo (lo si nota anche in bicicletta…)

I pneumatici invernali, con i quali ammetto di non aver mai notato apprezzabili differenze di consumo su veicoli tradizionali, qua invece si fanno sentire anche loro. A temperature ancora più basse, parecchio al di sotto dello zero, si dovrebbe iniziare a rilevare pure un aumento dei tempi di ricarica lenta, indice anche qua di una diminuita efficienza, mentre anche la ricarica rapida subisce questa sorte, tant’è che la colonnina, dialogando con la macchina, eroga una potenza minore.

Dulcis in fundo, la rigenerazione in decelerazione o in frenata, che tante soddisfazioni ha dato su percorsi di montagna, è anch’essa limitata dall’efficientissimo sistema di gestione della batteria, per evitare eccessive correnti di ritorno che risulterebbero dannose.

Ma poi succede che in una nebbiosa serata dicembrina prima di uscire dal ristorante avvii da remoto il riscaldamento e ti ritrovi l’auto bella tiepida e con i vetri puliti. E questo non ha prezzo!

Un giorno di ordinaria follia

La drammatica condizione in cui versano molte linee ferroviarie utilizzate dai pendolari in Lombardia sta facendo venire a molti la tentazione di riprendere in mano l’auto. E i recentissimi crolli del prezzo del petrolio potrebbero ahimè contribuire a questa nuova tendenza. Peraltro la sensazione di chi bazzica Milano quotidianamente è quella di una certa diminuzione del traffico veicolare rispetto ai picchi degli anni ’90, grazie ad una serie di lodevoli iniziative tra cui l’efficiente servizio di bike sharing, le piste ciclabili, l’Area C. E sicuramente anche ai costi dei combustibili e della gestione dei veicoli in generale, che hanno portato molte persone a sbarazzarsi della seconda auto per utilizzare i comodi servizi di car sharing. Anche i dati ufficiali confermano una rilevante diminuzione dei veicoli circolanti in città.

Eppure Milano sa ancora sorprendere, soprattutto quando si affronta il micidiale cocktail di pioggia, giornate prenatalizie, cantieri per lavori vari. E tu invece, fiducioso in questo presunto miglioramento della viabilità, caschi nel tranello e ti trovi ad impiegare due ore e mezza per percorrere poco più di 50 km, con le ultime centinaia di metri prima della meta percorsi a ritmi al di là di ogni possibile immaginazione. E mentre osservi gli alberelli della LEAF che crescono inesorabilmente, il ricordo non può che andare al mitico “Un giorno di ordinaria follia”  con Michael Douglas.

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Sicuramente rimanere piantati in mezzo al traffico con un’elettrica ti fa sentire leggermente meno in colpa, visto che quantomeno non stai contribuendo ad impestare l’aria. E poi c’è il vantaggio di non dover perdere altri minuti alla ricerca di un improbabile e carissimo posteggio, visto che nel caso specifico la colonnina si trovava esattamente sotto al posto dove mi dovevo recare.

Il pensiero va però all’ipotesi di potere accedere, con i mezzi elettrici, alle corsie preferenziali per i mezzi pubblici, come avviene ad esempio in Norvegia. Certo sarebbe bello, anche se le paralisi serie come quella che ho vissuto non lasciano scampo neanche a queste ultime, ma rimango convinto che non sia la strada giusta. Lo sviluppo della mobilità elettrica deve essere incentivato in termini sostitutivi rispetto a quella tradizionale, ma non deve diventare un’alibi per tornare ad incoraggiare la mobilità privata a scapito di quella pubblica o ciclabile. D’altronde ad Oslo le corsie preferenziali sono ormai intasate dai numerosissimi veicoli elettrici, con grande gioia dei conducenti (e passeggeri) dei mezzi pubblici. E questo non va bene.

Osare sempre di più

L’appetito vien mangiando, e dopo aver acquisito un po’ di esperienza è normale provare ad azzardare di più nella sfida con l’autonomia di percorrenza. Questa volta si tratta di 110 km, con un profilo altimetrico complessivamente positivo, ma che prevede il maggiore dislivello (circa 500 m) concentrato negli ultimi 20 km. E’ dunque innanzitutto imprescindibile ricaricare presso la destinazione per poter rientrare a casa, ma soprattutto, rispetto all’altra esperienza simile, qua non si può semplicemente girare indietro lungo la salita, visto che rimarrebbero appunto 90 km quasi completamente in piano. Inoltre il tutto avviene nel Deserto dei Tartari della mobilità elettrica, il Piemonte pressoché privo di colonnine pubbliche.

10710435_10205233455620151_5806695770878883097_oNissan propone sul suo sito un pianificatore di itinerario che, tenendo conto anche dell’altimetria, indica se la cosa è fattibile. Il responso è negativo, con una previsione di esaurimento della carica addirittura prima di affrontare la salita finale. La cosa è poco incoraggiante, ma mi rincuora verificare che anche un altro itinerario, già da me svolto senza problemi, viene dato come non fattibile. Qualche consiglio dal gruppo Facebook degli appassionati (che qualcuno a casa mia paragona ai famosi alcoolisti anonimi), la certezza di poter ricaricare “in amicizia” presso la destinazione e si parte, tra gli sfottò di chi già dichiara che non ci verrà a recuperare…

E’ domenica mattina e l’occasione è buona per scegliere la strada statale che costeggia la sponda piemontese del lago Maggiore, tra i grupponi di ciclisti che, ormai in assetto invernale, sciamano su questa grande classica. L’auto non fa sorprese, e arriviamo a destinazione dopo il primo avviso di batteria scarica e il temibile annuncio “potresti non essere in grado di raggiungere la destinazione”, ma con ancora ben 7 km di autonomia residua!

La ricarica si rivela il punto dolente poiché avviene inevitabilmente in modalità lenta. Cinque ore consentono solo di arrivare a 8 tacche sulle 12 totali, ma confidando nella prima parte di discesa ripartiamo. Questa volta si rimane sull’autostrada, che concede un ultimo brivido. Un lungo tratto di salita, al quale generalmente non si fa caso, infligge un duro colpo all’autonomia residua, perché si tratta di 250 m di dislivello percorsi a 80 km/h. Arriviamo a casa con 11 km residui, i vetri che iniziano ad appannarsi, ma la soddisfazione di avercela fatta. Anche perché in caso contrario…

L’orgasmo del ciclista

Ricordo ancora, ai tempi delle mie prime uscite in bici da corsa, l’affermazione lapidaria di uno degli anziani del gruppo: “la discesa è l’orgasmo del ciclista!”

In realtà ho sempre pensato il contrario, essendo un appassionato di salite, e trovando le discese piacevoli sì ma in realtà molto impegnative a causa dell’inevitabile tensione, se si vuole provare a spingere un po’. Dunque per me il vero orgasmo del ciclista è la salita, anche perché è l’arrivo sull’agognata vetta a regalarmi le maggiori emozioni. Alla prima conquista del Mottarone poco che ci mancava che arrivassero i lacrimoni….

Il Mottarone, un luogo mitico della mia infanzia, ma non solo. Lì ho imparato a sciare, quando da Omegna si saliva a “fare un pomeridiano” immediatamente all’uscita da scuola, anche se nevicava grosso così. E lì ci continuo ad andare con la bici, almeno una volta all’anno, partendo da casa. Quasi 100 km in totale, rigorosamente dal lato di Armeno, dove le rampe iniziali ti tagliano letteralmente le gambe.DSCN1285

Dunque quale luogo migliore per testare anche le performance dell’auto elettrica in montagna, ed in particolare la rigenerazione della batteria in discesa? Con un navigatore d’eccezione, Luca, partiamo con la carica al 100% (12 tacche) e con il cavo Schuko nel bagagliaio, anche se non avrei idea di dove andare a ricaricare. L’idea è comunque quella di girare indietro qualora nel corso della salita la batteria dovesse avvicinarsi preoccupantemente a livelli di attenzione.

Invece le cose vanno meglio del previsto. Arriviamo in cima dopo 47,3 km, con 3 tacche e 15 km di percorrenza residua. DSCN1282Ma sappiamo che da quel momento si aprono le “praterie” della rigenerazione. E infatti è così. Le tacche risalgono a 5 e l’autonomia stimata schizza a 70 km. Giungiamo a casa con tre tacche, le stesse che avevamo in cima alla montagna, ma ben 47 km ancora disponibili.

La discesa è forse la situazione dove si apprezzano al massimo le differenze tra un veicolo elettrico e uno tradizionale. Grazie alla rigenerazione, infatti, l’auto elettrica riesce letteralmente ad infilare nella batteria una gran parte dell’energia potenziale accumulata nel corso della salita. E di conseguenza consuma pochissimo i freni, chiamati in causa solo nelle decelerazioni più brusche, e non si sente quella sgradevole puzza di bruciacchiato in fondo alla discesa. Nessuno spreco, insomma.

Un’auto tradizionale invece, innanzitutto brucia carburante anche in discesa (sì, perché il motore è acceso), e poi consuma pastiglie e dischi dei freni, anche se si cerca di utilizzare un po’ di freno motore.

Dunque ci sono tutti i buoni motivi per affermare, questo sì, che “la discesa è l’orgasmo… dell’auto elettrica…”

Pionierismo?

Purtroppo è ancora questa la parola da usare, se parliamo di mobilità elettrica in Italia. Di seguito la breve cronaca di una trasferta un po’ fuori dall’ordinario, che ha messo in luce tutte le difficoltà che bisogna ancora superare.

Oleggio-Piacenza sono esattamente 125 km, una distanza che non avevo ancora mai affrontato con una singola carica. Le condizioni sono ottimali, non serve il climatizzatore e complessivamente il percorso è in discesa. In autostrada non supero mai i 90 km/h! Arrivo alla colonnina esattamente quando parte la prima segnalazione di batteria scarica. In un test precedente avevo percorso quasi altri 30 km da quel momento al collasso totale (modalità tartaruga).20140902_091346

E qua inizia la parte divertente, che fa capire come l’improvvisazione regni sovrana per TUTTE le parti in gioco. Innanzitutto ENEL, che piazza le due colonnine di Piacenza in un modo curioso. Entrambe sulla stessa via, ma una delle due all’interno della zona a traffico limitato, sul cui cartello di accesso i veicoli elettrici non sono naturalmente menzionati. Va da sé che la colonnina fuori dalla ZTL è occupata abusivamente da due veicoli termici, e dunque non ho scelta.20140902_094133

Avvio la carica e chiamo subito i vigili per le due segnalazioni:

  • il fatto di essere entrato “abusivamente” nella ZTL per qualche decina di metri per giungere all’unica colonnina disponibile
  • la presenza di abusivi nell’altra

Sul primo punto mi invitano ad andare a richiedere un pass, presso un ufficio fortunatamente non lontano da lì (circostanza puramente casuale, quest’ultima). Sul secondo, un po’ scocciato, mi dice che “se hanno tempo” vedranno di attivarsi.

A ben guardare, però, qua tra gli improvvisatori entra in gioco il Comune. I due abusivi non hanno proprio tutti i torti. L’unica indicazione relativa al divieto di sosta è il piccolo cartello sopra alla colonnina, mentre a terra compaiono normalissime strisce blu. Infatti entrambe le auto mostrano bene in vista il regolare tagliando del pagamento della sosta. E il fatto che la colonnina sia contornata da biciclette non aiuta certo a capire bene di che cosa si tratti.20140902_091849

La nota positiva è la gentilezza della signora del’ufficio ZTL che mi ha fatto sul momento il pass giornaliero gratuito, fidandosi della mia autocertificazione. Pass su cui compare la targa del mezzo, ma assolutamente non il fatto che si tratti di un elettrico.

La lezione è che non si può avere fretta, visto che l’imprevisto è sempre dietro l’angolo.

Dopo una ricarica completa il rientro a casa è andato liscio come l’olio, senza la necessità di ulteriori rabbocchi, come invece avrei temuto, visto che stavo “risalendo” la pianura (e con l’elettrico si sentono anche i minimi dislivelli).

Qualche numero per chi fosse interessato. I 125 km sono “costati” 16 kWh assorbiti dalla colonnina ENEL. Dunque circa 0,13 kWh per percorrere 1 km, che equivale ad esempio a tenere acceso per 4 minuti un asciugacapelli da 2 kW. Volendo fare un confronto più consono, ad esempio con un’auto diesel, è come avere imbarcato l’energia contenuta in un litro e mezzo di gasolio. Efficiente!

Mobilità elettrica, che delusione

10492304_10204665591983915_5996054336052759666_nLe mie aspettative sullo sviluppo della mobilità elettrica nel Paese dove si produce il modello più venduto al mondo, e dove la diffusione della rete di ricarica rapida pare essere la più capillare, sono andate del tutto deluse. Una ventina di Nissan Leaf avvistate in un mese e mezzo, anche se molte di più di quelle che ho visto in un anno intero in Italia, non si possono certo definire un successo. E di altri modelli nemmeno l’ombra. Ad esempio quella che si trova in Italia come Mitsubishi MiEV qua è un normale modello a motore a scoppio. Trionfano invece le ibride, Toyota Prius in testa.

Anche la rete di ricarica veloce CHAdeMO non è parsa affatto visibile. Probabilmente la maggioranza delle colonnine sono in luoghi privati, in particolare presso i numerosi rivenditori Nissan. Nulla di paragonabile ad esempio con il Canton Ticino.

Dunque anche qua la mobilità elettrica è allo stato pionieristico, e almeno su questo aspetto non veniamo umiliati.

A proposito di mobilità ciclabile

Un doveroso aggiornamento sull’utilizzo della bicicletta a Kyoto. E’ piuttosto diffuso, molte bici a pedalata assistita con doppio seggiolino, numerose pieghevoli, parecchie bici modaiole e bici da corsa spesso di marca italiana. Quasi tutte le case hanno rastrelliere al coperto, spesso all’interno di appositi locali. Peccato che non esista alcun servizio di bike sharing.

L’aspetto curioso è però il forte contrasto che si osserva tra utilizzo e sosta delle due ruote a pedali. La seconda è rigidamente regolamentata fino all’ossessione, in pieno stile giapponese. Non è pensabile lasciare legata la bicicletta ad un palo o a una cancellata, pena la probabile rimozione, il pagamento di una multa e soprattutto la necessità di andarsela a riprendere in qualche scomodissimo deposito dalla parte opposta della città. Dunque, come per le macchine, si trovano efficientissimi parcheggi a pagamento, totalmente automatizzati e spesso anche coperti, dove ritirare il mezzo.

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L’utilizzo è invece lasciato alla deregulation più assoluta, con ciclisti che vanno come dei pazzi e ti sbucano silenziosamente da tutte le parti. Nelle strade strette delle vie del centro, così come nei più larghi marciapiedi o agli incroci. L’unico incidente che ho visto fino ad ora è stato quello tra due ciclisti.

1 anno e 15.000 km dopo

Tempo di fare i primi bilanci dopo un anno di utilizzo. Innanzitutto la cosa più importante: non sono mai rimasto a piedi, né ci sono arrivato vicino. È chiaro che ogni spostamento un po’ lungo va programmato con attenzione, privilegiando il percorso “breve” rispetto a quello “veloce”, e dunque le statali rispetto alle autostrade (col che si risparmia anche). Tuttavia in condizioni critiche (inverno e pioggia) questo si può rivelare controproducente, visto che se si sta molto fermi nel traffico il riscaldamento, il tergicristallo e i fari comunque succhiano un bel po’ di batteria.20140531_175244

L’autonomia reale è naturalmente molto più bassa del dato ufficiale. A chi mi chiede rispondo che con un “pieno” si può contare ragionevolmente su non più di 120 km, ovviamente se si guida molto tranquillamente e senza il climatizzatore/riscaldamento. Se poi si tiene conto che è buona norma ricaricare la batteria solo all’80% e che non è il massimo girare con meno di due tacche residue (sulle 12 totali), allora diciamo pure che un range veramente tranquillo è di 80 km. Che però si sono rivelati più che sufficienti per la stragrande maggioranza degli spostamenti routinari.

Le soddisfazioni più grandi sono naturalmente quelle di muoversi in città senza alcuna emissione allo scarico e in silenzio, oltre a quella di ricaricare, quando possibile, in modalità 100% fotovoltaica, e quindi muoversi realmente a impatto quasi zero. Anche i bambini sono entusiasti, e preferiscono nettamente quando ci si muove con “l’elettrica”, anche se ambirebbero alla Tesla, beata ingenuità… Altra soddisfazione, ma non credo duratura, è quella di poter parcheggiare in pieno centro a Milano, magari proprio davanti alla Scala!

In seconda battuta, ma tutt’altro che trascurabile, il piacere di guida. Silenzio, assenza di vibrazioni, fluidità, accelerazione bruciante e progressiva quando serve. Un’elettrica è pure il luogo ideale per lunghe conversazioni telefoniche in vivavoce.

Il rovescio della medaglia di tutto ciò è che l’auto elettrica rischia di creare assuefazione, se non addirittura dipendenza. Non nascondo di aver fatto qualche spostamento in più in auto rispetto al beneamato treno. Ma, come ho già raccontato, l’accoppiata con la bici pieghevole rimane determinante.

Due parole sui costi: bollo assente, assicurazione RC a prezzo ridicolo, area C di Milano gratuita, parcheggio gratuito sulle colonnine di ricarica, ricarica a casa gratuita quando c’è il sole. Sicuramente gli investimenti iniziali sono importanti, ma in una prospettiva di lungo termine…

Una giornata intermodale – 2

Un paio d’anni fa raccontavo in questo post la cronaca di una giornata intermodale. Ora parlo di un’altra esperienza di intermodalità, ma questa volta di tipo “auto (elettrica, ça va sans dire) più bici”.

Con l’auto elettrica bisogna pianificare una trasferta non ordinaria in maniera molto accurata, soprattutto se ci si avventura in zone dotate di poche infrastrutture di ricarica. E avere una bicicletta di supporto aiuta non poco…

Dunque partenza all’alba in direzione Milano, circa 60 km, e successiva ricarica alla colonnina A2A interna al Politecnico. Servono circa 3 ore per ripristinare la carica iniziale.

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Ripartenza alle 11 per un’altra tappa, sempre in zona Milano, e poi alle 12.30 in direzione Lecco. Qua c’è una sola possibilità di ricarica, con due postazioni legate ad un’azienda privata che concede ancora per un po’ la ricarica a titolo gratuito. Naturalmente allertati già qualche giorno prima, si sono rivelati gentilissimi e disponibili. La postazione non è molto vicina a dove mi devo recare, dunque si estrae la fida pieghevole dal bagagliaio e via.

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Ad impegno finito l’auto è di nuovo al 100%, si riparte per il rientro a casa con la prospettiva di uno stop per ricarica rapida al Villoresi Est (autostrada Milano-Varese). Ma il navigatore suggerisce un itinerario breve di soli 90 km che, tagliando per le strade statali della Brianza, mi consente di arrivare a casa senza ulteriori ricariche.

E così è, circa 200 km in elettrico senza problemi!